
Demenza e comunicazione: come parlare (bene) con chi è in difficoltà cognitiva
Pubblicato il 1 Luglio 2025.
Parlare con una persona affetta da demenza può essere uno degli aspetti più delicati dell’assistenza quotidiana. I gesti più semplici – come spiegare cosa succederà durante la giornata, proporre di fare il bagno, o anche solo chiedere come si sente – possono trasformarsi in momenti carichi di frustrazione, smarrimento o incomprensione.
Chi assiste si trova spesso di fronte a risposte inattese: silenzi, parole sconnesse, rifiuti rabbiosi o ripetizioni continue. E il rischio, soprattutto quando si è stanchi o sotto pressione, è quello di reagire con irritazione o di chiudersi nel proprio disagio. Ma dietro ogni risposta confusa, dietro ogni frase che “non ha senso”, c’è una persona che continua ad avere bisogno di contatto umano, sicurezza e riconoscimento.
Parlare non è solo “dire le cose”
Quando si comunica con chi è in difficoltà cognitiva, è importante ricordare che le parole sono solo una parte del messaggio. Il tono della voce, l’espressione del viso, i gesti delle mani e persino la distanza fisica possono trasmettere conforto o creare allarme.
Per questo, è utile rallentare. Parlare con calma, usando frasi semplici e un tono rassicurante, può fare la differenza. Spesso non serve spiegare troppo. Una richiesta chiara, accompagnata da uno sguardo dolce e da un gesto gentile, è più efficace di molte parole. La persona con demenza, anche se non comprende il significato esatto di ciò che dici, percepisce la tua emozione. E risponde a quella.
L’importanza dell’ascolto
In molti casi, l’ansia del caregiver nasce dal bisogno di “farsi capire” a tutti i costi. Ma con il tempo si impara che, con chi vive un decadimento cognitivo, la comunicazione è spesso un incontro a metà strada. Non è necessario correggere ogni errore, né riportare ogni cosa alla realtà. A volte è più utile assecondare, ascoltare tra le righe, rispondere all’intenzione e non solo al contenuto.
Se una persona chiede di tornare a casa mentre è già nella sua camera, forse non sta parlando di un luogo fisico, ma sta cercando un senso di protezione, un ricordo, una certezza. In quei momenti, invece di spiegare che “è già a casa”, si può accogliere la sua emozione con parole semplici: “Capisco che ti senti smarrito, ma io sono qui con te”.
Evitare lo scontro
Uno degli errori più frequenti è insistere nella logica. Cercare di convincere con la ragione, in una fase in cui il pensiero logico è alterato, rischia di produrre solo frustrazione da entrambe le parti.
Meglio scegliere un’altra strada. Offrire alternative invece di imporre scelte, usare il “noi” invece del “tu”, limitare le domande aperte e sostituirle con suggerimenti dolci. “Andiamo a mangiare qualcosa insieme?” suona molto meglio di “Hai fame? Vuoi mangiare?”.
E se arriva il rifiuto? Non prenderla sul personale. Fermarsi, respirare, cambiare argomento e riprovare più tardi spesso funziona meglio che insistere.
La pazienza come linguaggio
Chi vive accanto a una persona con demenza sa quanto sia difficile mantenere sempre la calma. Ma ogni gesto fatto con rispetto, ogni parola detta con gentilezza, lascia una traccia. Anche quando la memoria svanisce, l’emozione vissuta resta. Una carezza, un sorriso, una voce pacata sono strumenti terapeutici quanto un farmaco ben dosato.
Non serve essere perfetti. Serve esserci, ogni giorno, con tutta l’umanità possibile.
Perché nella demenza, più delle parole, contano i legami. E ogni legame si nutre di ascolto, pazienza e presenza.